Swing Talks

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Il mito degli anni ’30: ne sappiamo abbastanza?

Per tutti noi che siamo approdati nel fulgido mondo del Lindy Hop, gli anni ’30 appaiono come un età dell’oro swing a cui vorremmo tornare senza se e senza ma. Ma... è tutto oro ciò che luccica?

Vintage! Abiti in stile, scarpette graziose, bretelle, capelli impomatati, baffi rigirati, chiome coiffate, gilet e persino mutandoni. Chi l’avrebbe mai detto potessero tornare così tremendamente di moda? Ma soprattutto chi avrebbe mai scommesso che la celestiale e indemoniata musica di Count Basie, Chick Webb, Ella Fitzgerald, Fletcher Henderson (e non li nominiamo tutti per la carità) tornasse finalmente a riempire le sale da ballo? Noi appassionati una decina d’anni fa non avremmo mai sperato tanto, in un’ Italia che negli anni ’30 lo Swing l’ha visto solo passare di striscio. Con nobili eccezioni certamente, ma lo Swing degli States, qui, in Italia, a quei tempi non era il fenomeno di massa a cui stiamo assistendo ora.

Quando un fenomeno passa dalla nicchia alla massa corre il rischio però di perdere per strada alcuni pezzi. Ed ecco che noi ‘Bros, pedanti, pignoli, fastidiosi come al solito vi infiliamo la pulce nell’orecchio. Siete sicuri che una volta…fosse tutto meglio? Ecco i falsi miti della Swing Era che siamo pronti a sfatare per voi:

Una volta si andava a ballare vestiti bene e le sale erano spaziose e impeccabili

Sì… e no. Certamente si poteva ballare in sale da ballo grandi, eleganti e ben arredate, dove per entrare si pagavano dei biglietti di tutto rispetto. Anche perchè suonavano delle big bands  e i musicisti erano tanti. C’è da dire che non tutte le sale erano così grandi e soprattutto che il concetto di igiene era piuttosto diverso da adesso: i chewing gum masticati venivano regolarmente buttati per terra, si masticava tabacco e si fumava abbondantemente nei locali. Gli impianti di aerazione erano piuttosto diversi da quelli di oggi. L’odore di quelle sale possiamo solo immaginarlo. Inoltre al ballo si indossava il vestito della domenica, che era quello bello, ma a quei tempi per molti era letteralmente… “l’altro vestito”.

Ancora più avanti negli anni, quando il Lindy Hop approdò nel cinema, i nostri beniamini erano chiamati: “quegli straccioni dei Lindy Hoppers“! Oltre alle serate danzanti in grande stile, c’erano poi miriadi di feste private. Molte erano delle House Rent Parties: in cambio di musica e cibo, si chiedeva un contributo per ballare…in modo da pagare l’affitto della propria casa! In questi casi non si indossava il vestito della domenica. Quando partivano i lenti, i bambini venivano chiusi nella loro camera, le luci si abbassavano, l’alcool scorreva e…vi lasciamo immaginare. Siamo molto lontani dalle serate a ingresso up to you con musica dal vivo, dalle nostre followers agghindate e profumate e dai parquet incredibilmente puliti a cui oggi, almeno a Torino, siamo abituati.

Cat’s corner: il posto per i ballerini migliori!

Al Savoy c’era un’ area sotto il palco nord delimitata per i ballerini più bravi. Ma forse non tutti sanno che quell’area è stata creata per contenere i ballerini più selvaggi ed impedirgli di prendere letteralmente a calci gli altri clienti della sala. Pare che questa fosse un’idea di Herbert “Whitey” White, che ebbe il merito di convincere il manager del Savoy a creare il Cat’s Corner per evitare guai ai ballerini.

Se è vero che i migliori ballavano in questa zona, nella biografia di Frankie si legge testualmente: “Chiunque poteva ballare nel Cat’s Corner, se aveva abbastanza fegato. … Nessuno si sarebbe mai permesso di dirgli di uscire dal cerchio.” C’era comunque competizione e persone che si sentivano migliori di altre, si sa, è la natura umana. Però in questo caso una lezione di fair play dal passato…forse è il caso di prenderla.

Una volta tutti invitavano a ballare

Se pensate che negli anni ’30 vi fossero pratiche virtuose nella sala da ballo e che non ci si pestasse i calli mentre si ballava…la vostra patinata idea è qui pronta a infrangersi con violenza. Frankie stesso racconta che una volta “Quasi sempre erano i ragazzi a chiedere alle ragazze di ballare. Se non avevi mai visto ballare una ragazza, di solito non la invitavi perché pensavi che non fosse capace. Se glielo chiedevi e lei era appena arrivata in sala, poteva anche dirti di no, perché non voleva accollarsi un ragazzo che non sapeva ballare. Ma non funzionava sempre così. Spesso ti guardavano da capo a piedi e poi ti dicevano di sì“.

Possiamo dire che certe cose non cambiano. Possiamo anche dire che alcune cambiano, sempre Frankie dice: “Se c’era una ragazza e tu sapevi che usciva con un tuo amico dovevi andargli a chiedere -Ehi, ti dispiace se…-e poteva dirti sì o no.” Su questo, possiamo dire di essere migliorati, anche grazie allo stesso Frankie, che ha fatto di tutto perché il ballo a cui tanto si è dedicato diventasse un ballo per tutti, in cui nessuno si sentisse escluso. E questo è possibile oggi, se tutti lo vogliamo, non certo negli anni ’30.

Taxi dancers: così tutti potevano ballare con i ballerini bravi

Eh già. Esistevano i taxi dancers. Perchè negli anni ’30 non era cosa comune andare a scuola di ballo. Si imparava letteralmente guardando e ballando. Prima si stava a bordo pista, poi pian piano, con l’esperienza, si arrivava sotto il palco, davanti alla band. Se non eri carino, se non eri capace, non ballavi mica facilmente. Questo, come si può immaginare era un problema principalmente per gli uomini.

E allora una trovata tutta bianca, dei ricchi proprietari di un locale, fece sì che delle belle ragazze venissero pagate profumatamente (allora un nichelino a ballo era davvero parecchio) per intrattenere chi da solo non riusciva a ballare. Più le ragazze ballavano, più guadagnavano. Non passò molto tempo che la pratica si diffondesse in tutta la nazione e che degenerasse. Oltre a vendere balli, qualche ragazza cercava di arrotondare lo stipendio vendendo qualcosa di più…personale. Ben presto la polizia cercò di ridurre il diffondersi del malaffare con leggi ad hoc.

Giudicate quindi voi, se negli anni ’10 del terzo millennio non siamo forse un po’ migliorati! Il già citato Frankie negli anni in cui ha insegnato ballava con tutti, senza bisogno di essere pagato per farlo, per il piacere di farlo. Daniel Heedman, suo allievo, in occasione di un prestigioso festival a cui abbiamo partecipato da poco, ha redarguito gli avanzatissimi allievi ricordando che si balla con tutti, per divertirsi.

Lui stesso il ballo più divertente degli ultimi dieci anni lo aveva avuto da poco con una principiante assoluta, che non sapendo i passi “giusti” improvvisava seguendo lui e la musica. Se l’entusiasmo per il Lindy Hop ha fatto ballare bianchi e afroamericani insieme negli anni ’30, possiamo dire che oggi il Lindy Hop fa ballare insieme persone entusiaste a prescindere dal loro talento. O almeno, questo è ciò che ci piace spingervi a fare.

Lo shim sham l’ha inventato Frankie

Ebbene no! È una routine di tap ideata da Leonard Reed e Willy Bryant negli anni ’20. I Lindy Hoppers l’avevano adattata senza tap alla musica swing e la ballavano in serata al Savoy. E non era un evento travolgente, non c’era nemmeno una musica prestabilita per ballarlo. Ora si balla ricordando Frankie, l’ambasciatore del Lindy Hop che ce ne ha tramandato la consuetudine.

Ad Harlem si ballava al Savoy

Sì, certo, ma mica solo al Savoy! Alhambra, Renaissance, Cotton Club, Roseland, Dunbar Ballroom, Audubon Ballroom, Rockland Palace, Golden Gate. Il Savoy aveva tre enormi meriti: era l’unica sala da ballo mista (di qualunque colore fossi potevi ballare), era la sala da ballo più grande, era la sala con le migliori bands.

Potenzialmente questo articolo potrebbe non avere fine! In un corso di swing dance è difficile poter dedicare il giusto tempo all’approfondimento storico e spesso si rischia di rimanere in superficie. Spesso l’entusiasmo ci fa indulgere sugli aspetti più allettanti della storia e ci fa essere imprecisi su cose altrettanto importanti, ma meno piacevoli. Speriamo con questo articolo di aver ridato il giusto peso ai fatti. Un pensiero ai principianti della nuova stagione del Lindy Hop a Torino, invitate a ballare anche i più esperti e non siate timidi, non siamo più negli anni ’30!

Ogni fatto citato in questo articolo è contenuto nelle seguenti fonti: principalmente ci siamo riferiti alla biografia di Frankie Manning, al meraviglioso blog Swung Over di Bobby White, a interviste di Norma Miller e Peter Loggins, alle lezioni dei coniugi Heedman. Per ogni dubbio o approfondimento non esitate a chiederci, siamo sempre felici di rispondere alle vostre domande.

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